Titolo

Mercoledì 3 giugno – ore 20.45

Proiezione del film “Porca Vacca” di Pasquale Festa Campanile con Renato Pozzetto e Laura Antonelli (Italia, 1982)
L'attore Renato Pozzetto, protagonista del film, sarà presente alla proiezione.
La Prima Guerra Mondiale è stata spesso argomento di riflessione da parte del cinema. "Orizzonti di gloria" di Stanley Kubrick e "Uomini contro" di Francesco Rosi sono solo due fra la più note pellicole che hanno affrontato lo spinoso tema della "grande carneficina patriottica".
E' nostra opinione, tuttavia, che la vicenda sia troppo lontana nel tempo ed estranea al comune sentire dei contemporanei perchè possa essere rivisitata facendo appello al registro del dramma.
Per questo, seguendo la lezione del grande Mario Monicelli, che per primo si misurò nella difficile arte di smitizzare uno dei dogmi della storiografia ufficiale, ci siamo rivolti ad uno dei volti più noti della comicità insubrica, Renato Pozzetto, che in questo film veste i panni di un improbabile fante lombardo spedito, suo malgrado, al fronte. Un'occasione per sorridire amaramente della proverbiale inadeguatezza militare degli Italiani.

Giovedì 4 giugno – ore 20.45

La frontiera contesa:
i piani italiani e svizzeri di invasione e difesa
Milano, 19 maggio 1906. Nel pieno dell'Esposizione Universale, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III e il presidente della Confederazione elvetica Ludwig Forrer inaugurano il traforo ferroviario del Sempione. L'amicizia e la collaborazione tra i due Paesi, che ha permesso la realizzazione della galleria più lunga del mondo, sono esaltate dai discorsi dei due capi di Stato.
Dietro ai sorrisi e alle strette di mano, le relazioni tra i due Stati non sono però così idilliache come sembrano.
Negli anni a cavallo del nuovo secolo molte nubi si sono addensate sulle relazioni tra Italia e Svizzera.
Le autorità elvetiche, preoccupate della crescita del nazionalismo e del bellicismo italiano, si aspettano un attacco contro la propria frontiera e predispongono un imponente apparato di fortificazioni. Si paventa soprattutto un accordo tra Italia e Germania per spartirsi la Confederazione.
Per contro il governo italiano teme, con il deteriorarsi della Triplice Alleanza, la germanizzazione della Confederazione. Gli apparati militari difensivi elvetici sono considerati una minaccia.
Mentre i capi di Stato parlano di pace, gli Stati Maggiori dei due eserciti preparano la guerra. Considerato di grande valore strategico, il Canton Ticino viene a trovarsi al centro dell'attenzione di entrambi gli Stati.
Chiamata a giocare un ruolo cruciale in questa delicata situazione, la Svizzera italiana cerca di costruirsi un'identità propria tra difesa culturale dell'italianità e appartenenza politica alla Confederazione elvetica. Ripercorreremo mezzo secolo di relazioni italo-svizzere, dall'Unità d'Italia alla Grande Guerra. I due ospiti analizzeranno i complessi rapporti tra Italia e Svizzera, indagando lo stretto legame che esisteva nei due Paesi tra esigenze politiche e necessità militari.

Venerdì 5 giugno – ore 20.45

L’Insubria alla guerra dei cieli:
l’epopea della Caproni e dell’industria aeronautica militare in provincia di Varese
Nel suo ultimo film, "Si alza il vento", il grande disegnatore e regista giapponese Hayao Miyazaki, nel ricostruire le gesta di Jiro Horikoshi, l'ingenere aeronautico che ideò i fanigerati caccia Zero, usati dai kamikaze per abbattersi contro le portaerei americane lungo le rotte del Pacifico, rende omaggio a Gianni Caproni, pioniere dell’epopea regina del XX secolo, la conquista dei cieli.
E' lui che, apparendo in sogno al ragazzo, lo esorta a coltivare l' aerea febbre di vento.
La sua figura è finora rimasta quasi nascosta dal fascino degli straordinari velivoli che inventò, i quali ancora detengono imbattuti record e primati tecnologici.
Personaggio poliedrico, artista prima che ingegnere, ha dato corpo al sogno che fu di Icaro. Una vicenda immersa nella storia del Novecento quella di Caproni, a diretto contatto con i suoi protagonisti, da Mussolini a Churchill, da D’Annunzio a Eisenhower, eppure attualissima nella parabola del primo vero impero “globale”, esteso dalla provincia di Varese fino all’Asia e alle Americhe, dalle Dolomiti alle Ande, passando per Malpensa.

Sabato 6 giugno – ore 10.30

Il Guerrone:
storia nascosta della prima guerra mondiale
Il centenario dalla Grande Guerra, che la cultura dominante presenta come atto conclusivo dell'epopea risorgimentale, rischia di diventare una verbosa dissertazione di retorica e di memorialistica patriottica che - come è già successo per la ricorrenza dell'Unità d'Italia - finisce per nascondere ogni rievocazione serena di quello che è stato il più grande e doloroso dramma che abbia colpito la penisola italiana nell'ultimo millennio.
Troppi cercano di occultare le proporzioni del disastro economico, umano e morale dietro descrizioni edulcorate e grondanti nazionalismo di maniera. Serve invece ricordare cosa siano davvero stati quegli anni di sangue, sacrificio, violenza e dolore, nei i quali popoli della Penisola hanno dato il meglio di sé e i loro governanti il peggio. Quella che Pio X ha chiamato il "guerrone" e il suo successore "l'inutile strage" ha segnato l'inizio del suicidio dell'Europa.

Sabato 6 giugno – ore 15.00

Uno sparo, la fine di un mondo:
l’attentato di Sarajevo e il crollo dell’Impero asburgico
Echi, suoni indecifrabili che non riescono a diventare una voce, ogni cosa perde la sua luce, i contorni si sfrangiano e la memoria vaga senza fermarsi su nessuna immagine.
Spesso è meglio così, perchè la voce potrebbe far conoscere un dramma inquietante se fosse diventato patrimonio delle coscienze.
La Storia non apre la porta agli ospiti che non ha invitato. Sceglie protagonisti e comprimari, anche se gli esclusi, i Vinti, non sono da meno dei Viincitori.
E' ciò che accadde a quanti scelsero di battersi sotto le insegne dell'aquila bicipite.
Nell’agosto del 1914 migliaia di Europei vanno a combattere per l’Impero austroungarico, di cui sono ancora sudditi. Muovono verso il fronte quando ancora ci si illude che “prima che le foglie cadano” il conflitto sarà finito. Invece non finisce.
E quando come un’epidemia si propaga in tutta Europa, il limes mitteleuropeo scivola nell’oblio, schiacciato dall’epopea di Verdun e del Piave.
Ma soprattutto sembra essere cassato, censurato dal presente e dal centenario della guerra mondiale, come se a quel fronte e a quei soldati fosse negato lo spessore monumentale della memoria.
Il nostro viaggio comincia da lì, da quella rimozione e da lì continua in forma di viaggio verso la Galizia, la terra di Bruno Schulz e Joseph Roth, mitica frontiera dell’Impero austroungarico, oggi compresa fra Polonia e Ucraina.
Alla celebrazione ufficiale contrapponiamo l’evocazione di quelle figure ancestrali, in un’omerica discesa nell’Ade, con un rito che consuma libagioni e accende di piccole luci prati e foreste, e attende risposta e respira pietà – la compassione che lega finalmente in una sola voce il silenzio di Redipuglia ai bisbigli dei cimiteri galiziani coperti di mirtilli.
L’Europa è lì, in quella riconciliazione con i morti che sono i veri vivi, gli unici depositari del senso di un’identità europea che già allora poteva nascere e oggi forse non è ancora cominciata.

Sabato 6 giugno – ore 16.30

La scintilla:
da Tripoli a Sarajevo, come l’Italia provocò la Prima Guerra Mondiale
L'Italia rimane estranea alle ostilità fino al 24 maggio 1915 ma le sue responsabilità nel conflitto sono molto gravi e hanno radici consolidate nel tempo.
Nel 1911 l'Europa è in un periodo di tumultuoso sviluppo economico e, per quanto minacciata dalla polveriera balcanica, sembra avere raggiunto un certo equilibrio; risolti i conflitti coloniali, da quarant'anni regna la pace.
Ma è l'Italia a riaprire la stagione delle guerre invadendo le province ottomane di Tripolitania e Cirenaica e inducendo così gli Stati balcanici ad attaccare a loro volta gli Ottomani e a fondare la Grande Serbia, che destabilizzerà definitivamente l'Austria-Ungheria.
A Sarajevo, nel giugno 1914, viene accesa la miccia della bomba che l'Italia ha innescato.

Domenica 7 giugno – ore 11.00

Ernst Junger,
il contemplatore solitario
“Avevamo lasciato aule universitarie, banchi di scuola, officine; e poche settimane d'istruzione militare avevano fatto di noi un sol corpo bruciante d'entusiasmo.
Cresciuti in tempi di sicurezza e tranquillità, tutti sentivamo l'irresistibile attrattiva dell'incognito, il fascino dei grandi pericoli.
La guerra ci aveva afferrati come un'ubriacatura. Partiti sotto un diluvio di fiori, eravamo ebbri di rose e di sangue. Non il minimo dubbio che la guerra ci avrebbe offerto grandezza, forza, dignità.
Essa ci appariva azione da veri uomini: vivaci combattimenti a colpi di fucile su prati fioriti dove il sangue sarebbe sceso come rugiada.
"Non v'è al mondo morte più bella..." cantavamo. Lasciare la monotonia della vita sedentaria e prender parte a quella grande prova, Non chiedevamo altro”.
Ernst Junger, Nelle tempeste d'acciaio

Domenica 7 giugno – ore 15.00

Über Alles:
la centralità tedesca e il futuro dell’Europa
In un clebre saggio, Europe Since 1870. An International History, uscito nel 1973, quando ancora la Germania era divisa in due dalla ferrea logica di Jalta, lo storico inglese James Joll scriveva: “Se dovesse cambiare lo status della Germania orientale, e sembrasse praticamente possibile la riunificazione della Germania, sarebbe difficile mantenere la forma presente della Comunità europea, dato che la naturale potenza economica e demografica della Germania sarebbe tale da fare di un’Europa sotto egemonia tedesca la sola forma in cui il continente possa unirsi”.
Parole profetiche, che anticipano quanto sta accadendo oggi.
Dopo l’unificazione della Germania nel 1871 non c’era nessuno Stato in Europa che potesse controbilanciare il disegno egemonico di Bismarck. Sotto il profilo politico la volontà di potenza di nietzscheana memoria non poteva che culminare nel Terzo Reich.
Il Trattato di Versailles del 1919 non era infatti riuscito a stemperare la vocazione tedesca all'Impero, anzi paradossalmente finì con l’acuirla. Soltanto la divisione della Germania, all'indomani del secondo conflitto mondiale, sembrò aver placato le sue mire, sino a quando il crollo dell’Unione Sovietica ha posto le condizioni per la riunificazione della Germania.
Mitterrand allora aveva intuito meglio di ogni altro gli esiti ai quali avrebbe condotto una Germania di nuovo unita.
Da qui l’idea di legare il suo destino all’Europa, da qui il Trattato di Maastricht e l’intuizione di una moneta unica che avrebbe dovuto limitare la potenza tedesca.
Il Diavolo, però, fa le pentole ma non i coperchi e l’Euro è diventato lo strumento che ha consentito alla Germania di crescere sinora senza sosta. I filosofi la chiamano “eterogenesi dei fini”.
Così al nazionalismo del marco tedesco di cui parlava Habermas si è sostituito il nazionalismo dell’Euro tedesco. Ed è quindi riesplosa in Europa quella questione tedesca paventata da Joll sulla quale oggi gli storici hanno cominciato finalmente a richiamare l’attenzione.
La recente crisi ucraina ha mostrato ancora una volta come non esista una politica estera dell’Unione Europea, o meglio come questa si identifichi semplicemente con quella tedesca.
All'assoluta inconsistenza di Bruxelles sul piano internazionale fa riscontro il ritrovato dialogo tra Berlino e Mosca a suo tempo preconizzato da Henri de Grossouvre, che rilancia il tema, più che mai attuale, del blocco continentale eurasiatico.

Dal 2 giugno al 5 luglio - Ra Ca' dur Barlich - Varese

La Grande Guerra nei cieli della Libia
Mostra di fotografie inedite di Andrea Emilio Bossi
motorista meccanico della XII Squadriglia da bombardamento "Caproni"
in Libia (1915-1919)

Torna a inizio